Dott. Stefano Andreoli
Psicoanalisi e folklore: il mostruoso tra storia, freaks, vampiri, lupi mannari, streghe, fantasmi, diavoli e altri demoni.
Vivono nel buio della notte e nelle tenebre del nostro inconscio. Si insinuano nei nostri sogni. Si nutrono delle nostre paure. Strisciano nelle nostre inquietudini, spiano le nostre debolezze, affiorano dai nostri turbamenti, cingendoci in un oscuro abbraccio. Crescono nel cuore dell'eterno conflitto tra vita e morte, bene e male, razionale e irrazionale, armonia e instabilità, ordine e caos. Sono figli dell'ignoto. (Soave, 2019).
La storia dei mostri comincia con l'incarnazione delle più segrete paure dell'infanzia e soprattutto di quelle che turbano i sogni di ogni uomo in ogni tempo, nel luogo dove gli antichi pensavano di accedere ad una realtà "altra" piena di strane creature, demoni e defunti dell'Aldilà. Non c'è da stupirsi dunque se il mostruoso, essendo una componente fondamentale della mitologia di ogni cultura, abbia destato interesse fin dagli albori dell'umanità: già nel 2800 a.c. su delle tavolette d'argilla babilonesi appare un "documento" di "mostrologia" (Fiedler, 1978) che fornisce una linea guida alla fetomanzia (la predizione attraverso il feto) e alla teratoscopia (la divinazione basata sulle nascite anormali). Infatti la stessa parola "mostro" deriva sia da monere (ammonire) che da monstrare (mostrare), rinviando all'apparizione di qualcosa di straordinario come nel caso di eventi soprannaturali o di segni premonitori, in genere catastrofici (Daston e Park, 1998).
Di fatto, tutto ciò che in un qualche modo è abnorme o insolito assume il carattere di mostruoso e, che sia un prodotto della fantasia o il risultato delle più bizzarre malformazioni fisiche (il freak), esso viene considerato come una presenza oscura e inquietante, non di rado con tratti violenti, malvagi e sanguinari, suscitando ribrezzo e terrore ma sempre anche una sorta di perturbante fascinazione e di irresistibile curiosità.
[I mostri] sono l'ancora di salvataggio di ogni nostra normalità che necessità conferme continue e ci garantiscono un porto sicuro ogni volta che li chiudiamo fuori dalla porta, oltre quella soglia che ognuno di noi pone loro come limite invalicabile. (Ciseri, 2018, p. 10)
La rappresentazione del mostro rappresenta una funzione intrinseca della psiche (la teratopoiesi) che proietta in immagini le parti più oscure che la appartengono, ciò che viene considerato come anormale o abominevole e che rischia continuamente di minare la stabilità dell'intero ordine morale, sociale e naturale.
Perciò il mostro diventa sempre e comunque l'Altro, qualche altra cosa estranea da sé che non si sa come spiegare o classificare adeguatamente, proprio come mostruose furono descritte le razze indigene scoperte dai primi esploratori europei durante i primi viaggi in regioni esotiche e ignote. Persino oggi, che sono finiti i luoghi inesplorati sulla terra, continuiamo a proiettare fuori i mostri che abitano le profondità della nostra psiche, immaginandoli negli alieni che popolano il lontano e il misterioso universo.
Dott. Stefano Andreoli
Se Dio è morto, è stato perché era troppo in buona salute. (Hillman, 1991, p. 98)
Nell'epoca contemporanea dove tutto deve poter essere controllato in modo onnipotente per poter essere sfruttato al meglio e senza limiti, è chiaro che deve spaventare oltremodo ciò che non si domina mediante il semplice uso della volontà e della ragione. A quanto pare, Freud aveva proprio ragione quando oramai più di un secolo fa testimoniava quanto fosse difficile per l'uomo accettare di non essere "padrone a casa propria": ancora oggi all'Io continua ad essere attribuito un potere che non possiede. Infatti James Hillman (1975) ha osservato come benché questo tempo sia radicalmente ateo e profano, esso sia altrettanto dominato da una religione monoteistica fondata su un culto della coscienza che nega fanaticamente l'esistenza della dimensione inconscia della psiche. La psicoterapia cognitivo-comportamentale o le psicoterapie "strategiche" basate sulle "evidenze" tanto in voga oggi appaiono infatti come un'enorme impalcatura difensiva contro l'intera irrazionalità umana e quei suoi mostri, demoni e belve che ben poco possono essere domati dalla misera razionalità dell'Io. All'interno di una cultura in cui si persegue crescita illimitata e movimento, il fenomeno della psicologia positiva, come alcune derive umanistiche, esasperando il "benessere", le forze ascendenti e gli aspetti diurni della vita psichica, non sono che la figlie legittime del panorama dinamico odierno. Queste psicologie, essendo prive di quello spessore tipico che dona la presenza dell'ombra, forniscono un'idea ingenua, superficiale e idealizzata dell'essere umano, ignorando del tutto "la visione tragica dell'uomo esistenziale, irrazionale e patologico" (ibid., p. 134). Questo modo psicologico di intendere l'uomo - dove il paziente diventa cliente, guarda caso come nel vocabolario del commercio - riflette una posizione maniacale che intende negare l'aspetto depressivo (mortifero) intrinseco della natura umana, finendo per diventare malattia travestita da salute: "invece di esser un nuovo mezzo per affrontare la psicopatologia, è essa stessa uno stato psicopatologico dissimulato" (ibid., p. 136).
Dott. Stefano Andreoli
Dov'è l'amico che il mio cuore ansioso | ricerca ovunque senza avere mai riposo? | Finito il dì ancor non l'ho trovato | e resto sconsolato. | La Sua presenza è indubbia ed io la sento | in ogni fiore e in ogni spiga al vento. | L'aria che io respiro e dà vigore | del Suo Amore è piena. | Nel vento dell'estate | la Sua voce intendo. (Il posto delle fragole, I. Bergman, 1957)
Sebbene Freud (1927) abbia riassunto l'intero fenomeno religioso sostanzialmente come un'illusione che ha origine dall'antico bisogno dell'infante di un'autorità protettrice, normativa ed esemplare (il padre) a cui rivolgersi per questo o quell'altro motivo, in realtà indagare il cosiddetto aspetto "spirituale" dell'uomo significa giungere nelle profondità più antiche e recondite di tutta la sua natura. Il senso del divino, o più in generale il sentimento di qualcosa che trascende la mera biologia umana, sembra apparire in un'epoca molto precoce dell'evoluzione umana, tanto da rintracciare l'homo religiosus già nelle prime forme umane dotate di primordiali capacità di simbolizzazione, come l'Homo Erectus, il quale ci ha lasciato tracce del suo passaggio che certamente non rientrano nel mero registro materiale-strumentale (Facchini, 1985). In altre parole, il senso religioso non appartiene solamente ad una fase transitoria della storia spirituale dell'uomo, dal momento in cui il rapporto tra uomo e Dio sembra essere nato nel momento stesso in cui è sorto il tempo dell'umano (Kerènyi, 1955).
Dott. Giuseppe Ferrari
In tutte le cosmogonie, il pensiero simbolico e l’idea di Caos primordiale si lega a quello di Uovo Cosmico. Il principio unico, perfetto, conchiuso, che ignora le distinzioni e contiene virtualmente in sé tutti gli opposti. da cui scaturisce ogni forma di vita, prima della differenziazione che genera la complessità.
Prima della differenza la “femminilità”, come pure la “mascolinità” per il pensiero mitico è necessariamente preceduto da un modo di essere “totale”. Agli inizi di una vita gli individui si riproducono in perfetta solitudine, generando copie identiche a sé stessi. E’ il regno del neutro e dell’indistinzione del quale gli angeli sono il simbolo.
Dott. Stefano Andreoli
Da quello che si sa, le prime forme ominidi (le specie protoumane) si sono staccate dall'albero genealogico dello scimpanzé comune circa 6 milioni di anni fa: per il 98,4% ne condividiamo il DNA (Diamond, 1991), molto più di quanto lo scimpanzé condivida DNA con le altre scimmie antropomorfe (gorilla, gibbone, orango). Da allora l'uomo ha continuato ad evolversi, aumentando il volume e l'arrotondamento del proprio cranio e abbandonando sempre più le sue spoglie "scimmiesche", fino a comparire circa 300 mila anni fa nelle sue sembianze attuali, l'homo sapiens.
Ma cosa fece sì che "improvvisamente" diventammo umani?
Dott. Luigi Rossi
Venire al mondo è qualcosa che nessuno uomo ha mai chiesto - nessun organismo in realtà - e, chi più chi meno, tutti gli animali della Terra si confrontano con questo fatto. Il nostro inconscio e i nostri impulsi più basilari sono in ultima analisi riconducibili all'interazione tra condizioni ambientali e geni di tutti quelli che sono venuti prima di noi. Anche il nostro psichismo dunque, caratteristica che gli uomini hanno ritenuto conferita dal divino e che quindi li elevasse dal resto del creato, affonda le sue radici nello stesso processo di selezione naturale che ha dato alla giraffa il collo lungo, e alla tartaruga il corpo coriaceo.
Dal momento in cui l’organismo viene alla vita dovrà quindi confrontarsi con tutta una serie di problemi che l’ambiente pone, e in base alle sue capacità di adattamento (ereditate o acquisite per caso) avrà o meno una fitness sufficiente a riprodursi e mandare avanti la propria specie. Detta così, sembra che l’obiettivo della vita sia la propria continuazione, e che quindi l’individuo vincente sia quello che sopravvive abbastanza da incontrare un partner e riprodursi, o comunque di avere una prole. Pare però che così non sia, non è l’evoluzione a selezionare i tratti migliori in base a chissà quali parametri, e la vita non ha uno scopo in particolare scritto nel libro del demiurgo.
Dott. Stefano Andreoli
“Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media.” C. Bukowski
Che cos’è la normalità?
Se si provasse a rispondere alla domanda, sicuramente si finirebbe col giungere ad un’aporia: “normalità” deriva infatti da “norma”, la squadra dell’architetto latino per misurare e controllare la correttezza delle cose, ossia uno strumento con funzione normativa. Infatti, si può fare riferimento alla normalità solo in confronto a qualcosa, ossia nella fattispecie alla misura (quantitativa) dettata dalla statistica, dato che l’essenza (qualitativa) della normalità non ha mai trovato una definizione unanime soddisfacente, se non attraverso la risposta tautologica: “normale è ciò che non si discosta dalla norma”. Infatti, come è stato sottolineato da Canguilhem (1966), sono proprio le varie sfaccettature dell’anormalità a destare l’interesse su cosa sia la normalità: “la norma è riconosciuta solo attraverso l’infrazione. La funzione viene rilevata dalla sua sospensione. La vita giunge alla consapevolezza e alla conoscenza di sè solo attraverso il disadattamento, il fallimento e il dolore” (p. 32). Eppure, la curva gaussiana rispetto alla distribuzione statistica della normalità non può definire, se non arbitrariamente, il punto esatto in cui finisce la normalità e comincia l’anormalità.
Dott. Giuseppe Ferrari
Esordirei con alcune domande alcune delle quali apparentemente semplici e scontate, ovvero:
· Cosa sono il piacere, il desiderio, il dolore?
· Da dove deriva il gusto del potere?
· Perché l’umore, il dolore o lo stato amoroso modificano non solo il nostro modo di agire, ma anche il nostro modo di pensare?
· Quali sono i parametri biologici comuni ai comportamenti ispirati dalla pulsione sessuale e dalla ricerca del potere?
· Perché io so di essere?
· Qual è la base biologica del sé?
Ed ancora:
· Gli uomini e le donne pensano alla stessa maniera?
· Il cervello cambia struttura con i mutamenti dell’adolescenza?
· L’intelligenza è una dote innata o si può ereditare?
· Dove nascono le ossessioni?
· Dove è collocata la coscienza umana?
Dott. Giuseppe Ferrari
"Sono così non ho tempo per i rimpianti gioco con i destini, mi annoio facilmente prometto e non mantengo. Inutile cambiarmi: La certezza mi è estranea per l’imbarazzo dell’amore per l’immaginazione perché sono devota solo all’indolenza. Imprevedibili i miei appuntamenti sono una fuga prima del tempo un sole che non basta una notte che mai si schiude sono impetuosi sussulti tra la sete e il dissetarsi. Sono così, un silenzio per raccogliermi, un lento terrore per disperdermi, un silenzio e un terrore per curare una crudele memoria non c’è luce che possa guidarmi: possiedo solo i miei peccati." (Il ritorno di Lilith. Joumana Haddad)
Perché questa poesia? Credo rappresenti la scostumatezza, non nel senso della negazione bensì del superamento del “costume” inteso nell’accezione corrente “modo consueto di agire, pensare, comportarsi di una persona” o, meglio ancora “il comportarsi secondo le norme della morale comune, altrimenti definito buoncostume” ; questo mi aiuta ad introdurre il tema della confusione tra ciò che è predefinito in nome di un “potere” spesso prevaricatore e talora persecutore verso l’alterità e ciò che invece dovrebbe sollecitare e realizzare un principio essenziale per la convivenza civile che è il rispetto dell’alterità. Voglio rappresentare Lilith quale simbolo dell’alterità da rispettare sempre e comunque, qualunque essa sia.
Dott. Stefano Andreoli
"L'analisi non si propone di correggere i fatti del passato, il che peraltro è impossibile, ma di riconcepirli." (Etchegoyen, 1986).
Al pari di ciò che succede nella sua vita privata, in terapia il paziente vive continuamente una dicotomia (Fromm, 1964): da una parte egli vuole collaborare col terapeuta per comprendere, cambiare e maturare attraverso l'alleanza terapeutica (Greenson, 1967), dall'altra egli desidera gratificare desideri arcaici e impulsi facenti parte del suo passato che esulano dal rapporto terapeutico, seguendo cioè la cieca e diabolica "coazione a ripetere". Laplanche e Pontalis (1967) hanno descritto la coazione a ripetere in tali termini: "A livello di psicopatologia concreta, quel processo incoercibile e di origine inconscia con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi il prototipo e con invece l’impressione di qualcosa che è pienamente motivato dalla situazione attuale." (p. 87)
Dott. Stefano Andreoli
Ogni notte si sogna, non una, ma tutte le notti: sognando costruiamo un mondo completamente di nostra creazione come un’esperienza viva e reale dove tutto puo’ accadere senza la minima considerazione delle leggi della fisica, del tempo e dello spazio. Eppure la maggior parte delle persone oggi considera i sogni come qualcosa di futile, casuale e senza alcuna importanza solo perchè essi non seguono le leggi logiche della veglia (Freud non a caso paragonava l’analisi dei sogni alla traduzione di una lingua straniera). Eppure l’inconscio possiede una preziosa saggezza da recuperare e i sogni rappresentano la migliore finestra sui cui poter affacciarsi: contrariamente quindi a quanto comunemente si creda, i sogni non sono prodotti immaginari insensati e isolati dalla realtà, ma piuttosto costituiscono un ritratto fedele del mondo interiore del sognatore e di come egli percepisce il mondo reale in cui vive, in cui assolutamente nulla è casuale. Di fatto, riuscire a comprendere i nostri sogni ci permette di essere in contatto con le parti più profonde e autentiche della nostra personalità, assicurare stabilità ed equilibrio emotivo, e soprattutto ci consente di capire quale sia il modo migliore per risolvere i problemi quotidiani attraverso una creatività di cui non disponiamo con la semplice ragione durante la veglia.
Dott. Stefano Andreoli
Non esistono regole fisse nell’educare, sia perché non esistono due bambini uguali, sia perché resta comunque l’educatore a rimanere l’autorità più affidabile in quanto osservatore diretto, scopritore partecipe e unico vero potenziale conoscitore del proprio figlio. Rivolgersi all’educatore con ricette o prescrizioni rigide non farebbe altro che porlo nello stesso atteggiamento di passività e soggezione reverenziale dinanzi all’autorità che il bambino ha dovuto assumere di fronte ai propri genitori. Altra questione invece è familiarizzare con la cultura e con lo “spirito” psicoanalitico, fornendo cioè all’educatore maggiori strumenti per poter essere consapevole e poter esplorare con curiosità e maggiori conoscenze quel mondo tanto affascinante quanto misterioso che è il bambino. Si tratta quindi di fornire informazioni più che consigli sulla natura stessa dei problemi e sul funzionamento psichico del bambino nelle sue varie fasi evolutive affinché gli educatori possano diventare maggiormente consapevoli di ciò che solitamente sono soliti fare d’intuito.
Dott. Stefano Andreoli
La psicoanalisi, nel corso della sua storia, si è approcciata all’arte con diversi atteggiamenti: cercando di capire la natura dei processi creativi soggiacenti al lavoro dell’artista; interpretando l’opera d’arte alla luce della biografia dell’artista; descrivendo la risposta da parte del pubblico durante l’incontro del piacere estetico. Dapprincipio la psicoanalisi ha ricorso all’arte per trovare conferma delle proprie scoperte grazie al suo linguaggio più ricco e variegato: il profondo interesse di Freud per l’arte sono ben testimoniati dalla sua ragguardevole collezione di opere d’arte e oggetti antichi, oltre che ad uno speciale interesse per la letteratura (Shakespeare, Goethe, Schiller, o i classici greci). Freud infatti era ben consapevole che l’artista è in grado di giungere intuitivamente a ciò che la psicoanalisi ha dovuto scoprire lentamente attraverso il proprio “faticoso lavoro”.
"I poeti però sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose fra cielo e terra che la nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, giacché attingono a fonti che non sono ancora state aperte alla scienza. (Freud, 1907, p. 264)"
Dott. Stefano Andreoli
Erich Fromm è stato tra gli autori che ha enfatizzato maggiormente l'importanza della creatività come la più intima forma di realizzazione e di espressione dell'essere umano, ricordando come l'uomo relativamente sano (uscito più o meno dalla palude dei propri conflitti nevrotici, gli ostacoli per antonomasia alla creatività), sia perennemente attivo e produttivo. E non nel senso odierno del termine, ovverosia come "homo faber" costretto come un ingranaggio in attività cristallizzate, stereotipate, meccaniche, ripetitive, totalmente scisso dal proprio mondo interiore, o come "homo consumens/economicus" che sperimenta la propria esistenza solo in funzione di ciò che ha e che consuma, e non in base a ciò che è, in ogni sfumatura della sua dimensione umana, sempre foriera di un proprio stampo unico e originale (Fromm, 1976).
Fromm (1966) inoltre ricordava come la ricerca di tale autenticità esistenziale richieda necessariamente fatica, tempo e sacrifici: chi intraprende la strada verso la ricerca di sé, navigando nell’ignoto, nell’incertezza e nel dubbio, inevitabilmente incontra rischi, pericoli, prezzi da pagare, possibilità di fallimento, crisi. D'altronde lo stesso viaggio nell'inconscio intrapreso durante l'esperienza psicoanalitica offre sì inestimabili tesori, ma, come tutti i sentieri che alla fine regalano i paesaggi migliori, esso procede in salita.